Come scelgo un buon extravergine

Come scelgo un buon extravergine

Altra domanda spesso ricorrente questa, ma la risposta è un po’ più difficile e articolata.

L’approvvigionamento diretto al frantoio o all’azienda agricola, sarebbe la scelta migliore in quanto offre al consumatore, sia la possibilità di conoscere il produttore, ovvero di colui che ci mette la faccia, che di poter assaggiare l’olio evitando di dover scegliere a scatola chiusa. Anche l’acquisto, sul web da produttori che praticano e-commerce, fatto salvo per l’assaggio, consente al consumatore di conoscere virtualmente chi produce e di assumere una serie di informazioni utili per la scelta, come le varietà, la provenienza delle olive, il metodo di estrazione e di conservazione, i dati analitici dell’olio, quando disponibili.

L’assaggio – la capacità di degustare un olio cogliendone pregi e difetti è l’unico modo per non incappare in brutte sorprese, ma questa abilità la possiamo esercitare solo presso un produttore.

Ricordiamo che le caratteristiche all’assaggio che dovrebbe avere un buon extravergine, sono: assenza di difetti e presenza di apprezzabili caratteri di fruttato (sensazioni di olive fresche, erba, carciofo, pomodoro, mandorle, noci, floreali, etc), amaro e piccante che rivelano anche la presenza di biofenoli.

E questo è possibile, come già detto solo per chi ha la possibilità di approvvigionarsi dal produttore, ma per gli altri consumatori, che acquistano soprattutto nei supermercati e non hanno un marchio di fiducia già testato in precedenza, la prova di assaggio la potranno fare a casa solo dopo che hanno acquistato l’olio e riconfermare la scelta per un successivo acquisto se è stato di loro gradimento, se non dovesse essere così, continuare la ricerca.

Ma per avere meno sorprese, ci può venire in soccorso la consultazione di autorevoli e facilmente reperibili guide del settore (Slow Food, Gambero Rosso), ma soprattutto un’attenta lettura dell’etichetta, consiglio valido anche per chi acquista direttamente dal produttore.

Grande attenzione in ogni caso, va dedicata al prezzo. Un evo che costa tra i 3 e i 6 € non può oggettivamente essere un prodotto di qualità. Un olio prodotto in Italia, di qualità medio alta, non può costare meno di €/l 10. Non è vero al 100% che un prezzo più alto sia garanzia di sicura qualità, ma è ancor più vero che un olio con un prezzo tra i 3-6 €/l difficilmente possa essere di qualità.

Le indicazioni in etichetta, come interpretarle?

Oltre alla denominazione di vendita, di cui abbiamo già parlato in “Che olio scelgo?” molto importante è senza dubbio l’origine, es. Italiano, Spagnolo, Unione Europea, Paesi Extraeuropei, o loro miscele, e la scelta, naturalmente deve cadere, per correre meno rischi, su un prodotto la cui origine sia italiana.

Cosi come la campagna di raccolta o di produzione che viene obbligatoriamente riportata negli oli 100% Italiano, quando le olive provengono esclusivamente da una medesima campagna e vale solo per l’olio italiano destinato al mercato italiano, nelle Dop, Igp e nei Presidi Slow Food. Va ricordato che è sempre preferibile acquistare evo ottenuti da olive della ultima campagna.

L’etichetta nutrizionale, che di solito viene da letteratura e non da analisi dell’olio, che in sintesi ci informa sul contenuto calorico e la quantità di acidi grassi saturi; il nome o la ragione sociale; l’indirizzo del fabbricante; la sede dello stabilimento, il termine minimo di conservazione, che non ci aiuta molto a capire quando l’olio è stato prodotto, poichè i mesi previsti, in genere da 18 a 24 mesi, decorrono dalla data di imbottigliamento e non da quella della produzione; il lotto; la quantità netta e le condizioni di conservazione. Queste le indicazioni obbligatorie che vengono riportate in etichetta.

Potrebbero esserci anche le indicazioni facoltative, come il nome della cultivar; le specifiche chimico-fisiche e nutraceutiche (contenuto di biofenoli e tocoferoli, acidità, etc); queste ultime di indubbia utilità, ma molto rare per difficoltà burocratiche e incertezze legislative, le descrizioni organolettiche (le diverse intensità di fruttato, amaro e piccante); i metodi produttivi es. spremuto o estratto a freddo, informazione questa, molto apprezzata dai consumatori, ma di nessuna utilità, perché in questi ultimi anni le temperature di processo sono di gran lunga inferiori ai 27° previsti per l’indicazione.